Bones 10×01 The Conspiracy in the Corpse: recensione
Non è facile che uno show riesca, dopo dieci anni, a coinvolgere e sorprendere tanto quanto Bones, eppure la premiere della decima stagione è riuscita nell’intento, lasciando appassionati e spettatori meno assidui senza fiato.
La scorsa stagione era finita letteralmente con il botto tessendo le fila di uno dei più intricati ed interessanti casi che la serie abbia mai affrontato, disegnando i contorni di una cospirazione che ha finito per chiudere Booth in prigione, accusato di aver ucciso tre agenti della stessa istituzione a cui lui stesso ha dedicato tutta la sua intera esistenza, l’FBI.
Tutto il caso è strettamente collegato alla risoluzione del mistero della killer fantasma, Stephanie McNamara, membro della potentissima famiglia. Nell’ultimo episodio della nona stagione, Booth aveva ricevuto una telefonata anonima da un uomo che voleva consegnargli del materiale particolarmente scottante sui McNamara. Con l’aiuto di Sweets, Booth era riuscito a risalire alla sua identità: Wesley Foster era un ex giornalista caduto in disgrazia che aveva raccolto informazioni molto compromettenti sulla potente casata, responsabile di aver corrotto molti personaggi di spicco della politica, della giustizia e del mondo degli affari per favorire i propri interessi, nonché di aver coperto gli omicidi di Stephanie McNamara, pagando una tangente ad una talpa all’interno del FBI, la quale difendeva gli interessi della famiglia.
Quando Booth decide di incontralo, l’uomo viene trovato morto carbonizzato, ma il team del Jeffersonian recupera una serie di dati che l’uomo aveva nascosto all’interno di un piercing, che nascondeva in realtà un cip di computer.Proprio alcuni dei dati inseriti in questo cip saranno ciò che ricollegherà gli eventi della passata stagione a quelli della decima.
Tra i molti nomi ritrovati ricorre infatti con una notevole frequenza quello di un certo Howard Cooper, un uomo morto 16 anni prima – così dice il referto medico – di leucemia. Il team non solo sospetta che l’uomo sia stato ucciso, ma anche che il mistero dietro la sua morte possa essere il punto di origine dell’intera cospirazione che ha portato all’arresto di Booth. Riesumato il corpo, cominciano le indagini con l’aiuto stesso di Booth, uscito di prigione grazie all’intervento, non particolarmente ortodosso, di Brennan.
Mentre gli Squint cercano di provare che la morte di Howard Cooper non era dovuta alla malattia che lo affliggeva, scoprono che l’uomo, che lavorava presso l’Agenzia per la Protezione dell’Ambiente e che aveva ricevuto un sospetto numero di promozioni pur non possedendo le qualifiche per ricoprire il suo incarico professionale, è stato ucciso subito dopo aver negato a una certa Sanderson Chemical il permesso di costruire una fabbrica nella baia di Chesapeake.
A questo punto gli attori che sono dietro a questa immensa cospirazione sentono sempre di più il fiato di Booth sul loro collo e tentano il tutto per tutto per fermare Brennan, riuscendo persino a privarla, grazie ad un cavillo legale, dei resti di Howard Cooper necessari per collegare la sua morte a Hugo Sanderson, presidente della Sanderson Chemical.
Grazie ad Hodgins però, che conserva in segreto parte delle ossa, Brennan riesce a provare che Cooper è stato ucciso da un farmaco sperimentale prodotto dalla Sanderson Chemical che ha reagito con i farmaci chemioterapici che l’uomo assumeva al tempo, uccidendolo. La connessione tra Cooper e Sanderson è ormai rivelata e Caroline ottiene un mandato per sequestrare tutta la documentazione dell’azienda legata al farmaco usato come arma del delitto. Quando Booth e Brennan fanno per recarsi presso la sede dell’azienda, Sweets si offre di andare al loro posto, mandandoli a seguire un’altra pista.
Sweets, Booth e Brennan – nonostante l’atteggiamento poco collaborativo e sospetto del direttore del FBI Stark – non sono gli unici convinti della necessità di arrivare in fondo a questo caso e ricevono l’inaspettato aiuto di un giovane agente, James Aubrey, messo dal Bureau alle loro calcagna per seguirne le loro mosse. Nonostante la comprensibile reticenza iniziale di Booth, Aubrey finisce per rivelarsi un prezioso alleato per il team, dimostrando di volere la verità altrettanto quando loro e finendo per farsi levare il caso dallo stesso direttore del FBI preoccupato dalla sua affiliazione a Booth.
Mentre Booth e Brennan vanno infatti ad interrogare un sospetto individuato dall’agente Aubrey e Sweets si reca alla Sanderson Chemical, l’episodio prende una piega completamente inaspettata, perché Booth riceve una telefonata dall’agente Aubrey che gli annuncia di aver risposto ad una chiamata per una sparatoria presso la sede della Sanderson dove, nel garage, trova Sweets a terra, ferito.
Booth e Brennan si recano di corsa sul luogo e trovano Sweets in fin di vita, con un’emorragia interna che non gli lascia scampo.
Sweets riesce a dire loro di essere stato aggredito da qualcuno che gli ha rubato i documenti che aveva appena sequestrato e le sue ultime parole sono rivolte alle persone che ama: a Daisy, incinta di suo figlio – sì, il piccolo Sweets stava per diventare padre – e a Booth al quale dice “il mondo è un posto migliore di quello che tu pensi…” prima di esalare il suo ultimo respiro e lasciare tutti senza parole, Booth, Brennan, Aubrey e noi spettatori, perché con Sweets se ne va uno delle colonne portanti della serie.
Quando i resti di Sweets vengono portati al Jeffersonian, Cam sembra parlare per tutti noi nell’ammettere a Brennan di non sapere se è in grado di fare un’autopsia su di lui, ma la risposta di Brennan è quella che ci si aspetterebbe da una donna come lei, perché, con gli occhi lucidi, di fronte al corpo del suo amico, dice: “Devi. Questo non è Sweets, sono dei resti che ci daranno il nome della persona che ha ucciso Sweets.”
Bones è al suo meglio quando riesce a smuovere le corde emozionali del suo pubblico e, volenti o nolenti, questo episodio sconvolge completamente le dinamiche a cui siamo abituati. Al di là dell’intreccio davvero ben congegnato della cospirazione, tutti i personaggi sembrano essere in un posto in cui non li avevamo mai visti prima.
Booth è completamente sconvolto dal tradimento subito ad opera di un’istituzione a cui ha dedicato la sua vita e, come sottolinea Sweets, è alla ricerca di vendetta e non di giustizia.
Brennan è preoccupata per le ferite del suo uomo, quelle dell’anima, non solo del corpo, tanto da condividere le sue ansie con Sweets, almeno lui è morto sentendosi dire da Brennan che, dopotutto, un po’ di logica c’è in quello che la sua amata psicologia dice.
Persino Clark sembra cresciuto, più maturo e deciso nei confronti di Brennan, mentre Hodgins – come spesso capita – finisce per essere la persona che salva la giornata e questa volta, proprio grazie al suo essere considerato un maniaco delle cospirazioni.
Tutto sembra cambiato, ma in maniera armonica, credibile. Anche le ultime immagini dell’episodio, quelle che forse più di tutte sfuggono alla logica, hanno – a mio avviso – un senso più che preciso. E’ normale infatti considerare poco accurato il fatto che proprio loro, da amici, si mettano a fare l’autopsia a Sweets, probabilmente ci sono nella realtà dei protocolli che lo vieterebbero, ma credo che il senso sia quello di mostrare fino a che punto il personaggio contasse per il resto del team, fino a fare una cosa tanto impensabile come effettuare un esame autoptico su di lui per dargli giustizia.
Inaccurato? Probabile.
Spiegabile? Di certo.
Intervistato da US Today, John Francis Daley ha parlato così di questa toccante ed inaspettata piega presa dallo show:
“Booth e Sweets erano come fratelli, avevano un vero legame, una vera amicizia.” Daley ha descritto la morte del suo personaggio come “un momento difficile” e ha ammesso di aver “pianto come un bambino per un minuto” dopo aver filmato la scena finale, quando Sweets viene chiuso dentro il sacco da cadavere. La scena della morte è stata per lui particilarmente toccante: “Ricordo come girare quella scena abbia ammutolito David [Boreanaz] ed Emily [Deschanel]. Erano molto commessi. Gran parte dei miei venti anni li ho passati in quello show e, fortunatamente, è un’incredibile famiglia. L’ultimo giorno è stato triste e surreale per me.”
E’ un modo davvero coraggioso di cominciare una stagione: uccidere uno dei personaggi principali non è mai facile e finisce sempre per scontentare qualcuno, ma in questo caso si comprende come, dopo dieci anni, fosse necessario dare nuova linfa vitale allo show, introdurre nuovi personaggi (l’agente Aubrey), creare nuove dinamiche. Ciò che è certo è che uno show che dopo tanto tempo riesce ancora a coinvolgere così tanto emotivamente, è uno show che sta facendo bene il suo lavoro.
E non è finita qui, perché il prossimo episodio sarà dedicato all’espressione del dolore, alla perdita di un membro così importante della serie ed alla risoluzione di un caso che sembra farsi sempre più complicato.