Recensire un episodio come The Lost Art of Forehead Sweat – il quarto dell’undicesima stagione di The X-Files – è un’impresa davvero dura per diverse ragioni, la prima è che commentare una commedia è più o meno come spiegare una battuta, se ci si trova nella necessità di farlo è perché non la si è capita o non ci ha fatto ridere, il che – in entrambi i casi – è una perdita di tempo. La seconda è che criticare (nell’accezione di analizzare, non di biasimare) qualcosa di quasi perfetto è un po’ come ucciderlo. Comprenderete quindi l’impasse nella quale ci troviamo.
Eppure non possiamo esimerci dal rendere omaggio all’incredibile lavoro di Darin Morgan, lo stesso autore, per chi non lo sapesse, dell’altrettanto esilarante terzo episodio della decima stagione della serie, intitolato Mulder and Scully Meet the Were-Monster.
Non solo, infatti, The Lost Art of Forehead Sweat, per quanto ci concerne, si guadagna il suo meritato posto tra i migliori 10 episodi della lunga storia della serie e lo fa divertendoci come non mai, ma ci lascia anche un messaggio piuttosto profondo (e spaventoso) con il quale fare i conti.
Nella recensione della première di questa stagione (ci scuserete per l’auto-citazione), avevamo sottolineato come il The X-Files del 2018 esigesse un aggiornamento, poiché le ossessioni e le preoccupazioni degli spettatori che seguivano la serie agli inizi degli anni Novanta non sono le stesse di oggi e sembra che gli autori, con questo incredibile episodio, ci abbiano sentito e dato un risposta, presentandoci il personaggio di Reginald Murgatroid, alias Reggie Qualcosa (Brian Huskey), l’incarnazione del padre di tutte le cospirazioni.
Reggie è un ometto apparentemente innocuo che richiede l’aiuto di Mulder, con tanto di X di The X-Files proiettata sul suo volto come una sorta di segnale di Batman, che finirà per sconvolgere il nostro mondo e quello di Mulder e Scully (o Foxy e Sculls, come a lui piace chiamarli), rivelando loro di non essere stato solo l’ideatore degli X-Files, ma di aver addirittura fatto sempre parte del team. La serie di flashback in cui riviviamo alcuni degli episodi più epici dello show con Reggie inserito come terzo incomodo nella squadra, è forse una delle cose più esilaranti che mente potesse concepire.
Ma che questo sarebbe stato un episodio bizzarro lo si intuiva fin dalle prime immagini, quando Mulder dice al telefono a Scully di essere andato in giro nei boschi “to squatch“, e cioè a caccia del Bigfoot (detto anche sasquatch), per rilassarsi. Ed il solo fatto che in inglese esista un termine che riassume il concetto di “andare a caccia del Bigfoot” (peraltro intraducibile in italiano, in bocca al lupo agli adattatori!), è solo – per noi – l’ennesima ciliegina sulla torta.
Ogni cosa è strana in The Lost Art of Forehead Sweat, eppure finisce per avere senso, dalle immagini di Mulder bambino, con volto da adulto, che guarda estasiato per la prima volta un episodio di The Twilight Zone (o di quello che crede essere The Twilight Zone), a Skinner (Mitch Pileggi) che compare chiedendo dove stiano portando Reggie mentre l’ambulanza si allontana, per finire con tutta la confusione tra l’Effetto Mengele, o Effetto Mandela che dir si voglia, secondo cui un vasto gruppo di persone ricorda chiaramente qualcosa che non risulta invece essere avvenuto, perché in realtà viviamo in un intreccio di universi paralleli che a volte collimano creando questi “preconcetti collettivi“.
E poi ovviamente c’è l’abusato “loro” di cui tanto si parla quando si additano i responsabili di qualche complicata teoria della cospirazione che, in questo caso, diventa una persona vera e propria, un autentico Dottor They (Dottor Loro, letteralmente) che è volto e simbolo di tutto ciò su cui la serie stessa poggia. A detta di Reggie, responsabile dell’Effetto Mengele, sarebbe appunto questo misterioso Dottore, uno scienziato pazzo, reo di aver manipolato la mente degli americani.
E quando Mulder finirà per incontrarlo in carne ed ossa, ciò che il professore rivelerà, invece di suonare insensato come ci saremmo aspettati, sarà incredibilmente saggio ed insieme preoccupante.
Il creatore del blog “Phony fake news” (la sola idea di un blog con questo titolo è oggettivamente geniale), finirà per dare infatti un senso persino alle parole del presidente Trump – ferocemente preso di mira dagli autori per tutto l’episodio – spiegando come “la verità“, nell’era di Internet, sia diventata una chimera ed cosa assolutamente relativa che può essere anche gridata ai quattro venti perché ormai nessuno ascolta, perché ormai viviamo in un mondo in cui ognuno, con in mano un computer, può costruire la sua personale versione della verità è renderla credibile.
Il motto della serie recita che “la verità è là fuori“, ma il professore mette in crisi il fondamento stesso su cui è basato lo show e la vita stessa di Mulder, mettendo appunto in dubbio la nostra capacità di riconoscerla anche nel caso in cui ci venisse gridata in faccia.
Il discorso del dottor They tra i suoi: “Tutti oggi dicono di essere stati interpretati fuori contesto“, “Nessuno lo sa per certo” e “Quando è stata l’ultima volta che qualcuno ha ammesso qualcosa di cui si vergognava“, è forse la cosa più spaventosa e vera che questa serie abbia concepito.
Immagini promozionali di Ghouli ©2018 Fox Broadcasting Co. Cr: Shane Harvey/FOX
[pullquote]Mulder: Quindi è questa la verità? Non siamo soli nell’universo, ma non piacciamo a nessuno?[/pullquote] L’arte perduta del sudore sulla fronte – il titolo stesso è incredibilmente acuto nel suo indicare le certezze che tutti noi abbiamo, in un’era in cui non vi è più posto per i dubbi e di conseguenza per il dialogo – sarebbe stato probabilmente un perfetto epilogo per lo show, perché oltre ad essere una feroce autocritica alla cultura individualista americana, celebra con intelligenza e nostalgico sentimentalismo la fine due eroi romantici come Scully e Mulder. Due personaggi che ancora credono in un ideale e che combattono, contro ogni evidenza, per la verità, anche quando questa si presenta sotto le spoglie di uno strano alieno su un segway che, in quello che potrebbe tranquillamente essere un richiamo al romanzo Guida galattica per gli autostoppisti di Douglas Adams, rivela a Mulder di aver deciso di costruire un muro intergalattico invisibile (ancora Trump, sì) per separare il pianeta Terra dal resto della galassia ed evitare così ulteriori contatti con i suoi abitanti e lasciando così un “Foxy” comprensibilmente abbattuto.
D’altronde, cosa è l’esistenza stessa di questo revival, se non il nostro tentativo di rimanere attaccati a qualcosa di anacronistico, che ci sta inevitabilmente sfuggendo tra le dita?
Il quinto episodio dell’undicesima stagione di The X-Files, intitolato Ghouli, andrà in onda negli Stati Uniti mercoledì 7 febbraio su Fox.