In occasione della première mondiale di Citadel: Diana, che debutterà su Prime Video giovedì 10 ottobre, i protagonisti della serie Matilda De Angelis, Lorenzo Cervasio, Maurizio Lombardi e Filippo Nigro accompagnati dalla showrunner e produttrice esecutiva Gina Gardini, dal regista Arnaldo Catinari e dall’head writer Alessandro Fabbri, hanno incontrato la stampa a Roma, dopo la visione dei primi 2 episodi (su 6) per parlare del dietro le quinte dello show, il secondo appuntamento dell’universo condiviso creato dai fratelli Russo che proseguirà con Citadel: Honey Bunny, in uscita a novembre.
Siete fan delle spy story?
Catinari: Sono assolutamente fan del genere, sono cresciuto con 007 e credo che raccontare una storia come questa all’interno di un genere spy sia una delle cose più interessanti che si possa fare, soprattutto da regista.
Nigro: Da bambino fare la spia era il sogno di tutti, Alberto Sordi in Un’americano a Roma che torna a casa di nascosto e che fa finta di essere inseguito, quindi sì, è una passione che ho da sempre.
Cervasio: Sì, assolutamente, se si considera Matrix un una spy story ed io la considero tale. Da piccolo lo guardavo quasi tutti i giorni.
De Angelis: Io invece credo che per un discorso di rappresentazione, che negli anni passati un po’ è mancata, una bambina era difficile che si appassionasse al genere, perché in fondo le donne non erano rappresentate, quando sei bambino hai bisogno di vedere qualcosa che ti somigli o che in un qualche modo ti appartenga per entrare all’interno di quel mondo ed emozionarti. Quindi in questo senso sono contenta di aver fatto una spia da grande e di poter essere magari per le bambine di domani un motivo per appassionarsi al genere.
Lombardi: Io mi riallaccio a Matilda sul discorso del bambino, per me ci sono due frasi magiche e sono “C’era una volta“, e “licenza di uccidere” e devo dire che a questo giro ho avuto la licenza ad uccidere.
Gardini: Uno dei miei film preferiti è Casablanca, e all’interno di quel racconto, di quel mondo, ovviamente c’è una storia di guerra, però anche di spie, ed una grandissima storia d’amore. Quindi mi piace questo genere quando c’è un approfondimento dei personaggi e un grande cuore.
Fabbri: Ossessionato fin da piccolo, poi da adolescente, me lo sono portato per tutta la vita, quindi è stata una grande emozione e fortuna poter avvicinarsi a un progetto come Citadel: Diana. E crescendo, credo che il vero motivo per cui mi piacciono le spy story è che più di tanti altri generi, ti danno l’illusione di capire come funziona davvero il mondo, come andare nel backstage del mondo e vedere quali sono i veri meccanismi, quello mi affascina sempre.
L’allenamento di Diana il quale impara a controllare e contenere le proprie emozioni, creerà un un conflitto nel personaggio rispetto al suo rapporto con Edo?
De Angelis: Non posso realmente rispondere a questa domanda per via degli spoiler, perché tutto di questa serie è il contrario di tutto, quindi veramente qualsiasi cosa io dica ho dei cecchini qua davanti che mi puntano le pistole addosso. Secondo me la cosa interessante che emerge è che nonostante questo, come l’hai definito tu, training, che è più un allenamento emotivo che un allenamento fisico, nonostante questo allenamento a reprimere le emozioni, c’è un’emozione che su tutte è impossibile reprimere, quando arriva, arriva, ed è l’amore, quindi in questo senso sì, sicuramente creerà degli scompensi, ma questa è l’unica cosa che ti posso dire.
Credo che per far parte di un progetto come questo sia necessario prepararsi anche fisicamente e so che hai fatto un allenamento lunghissimo e durissimo, raccontaci un po’ qualcosa di come ti hanno preparata.
De Angelis: Mi sono allenata quattro mesi alla EA Stunt di Emiliano Novelli, che è veramente un luogo magico di persone assurde. Io ho un passato da ginnasta, ho fatto 12 anni di ginnastica artistica, quindi ho un passato da supereroina molto personale e quindi in qualche modo mi piaceva l’idea di poter portare qualcosa del mio bagaglio personale all’interno di questo personaggio, per cui sono arrivata all’allenamento pronta psicologicamente, molto entusiasta, non mi aspettavo che sarebbe stato così duro e così difficile, perché spaziavamo dal parkour a diversi tipi di arti marziali, poi ci sono stati tutti i training con il maestro d’armi, perché comunque dovevo dare l’idea di essere una spia preparatissima, una specie di macchina da guerra, pronta ad uccidere e volevo essere il più credibile possibile.
La nostra è una serie incredibilmente analogica, tutte le azioni che voi vedete sono state fatte realmente, c’è pochissimo VFX, ci sono pochissimi effetti speciali,
quindi era importante per me, ma non solo per me, anche proprio per il
progetto, essere in grado di fare il 90% delle mie azioni stunt, non solo per
il tipo di costruzione che io avevo bisogno di fare per il personaggio, ma
perché era quasi una questione di necessità tecnica.
Come hai affrontato l’aspetto registro e quindi la messa in scena dell’azione?
Catinari: Innanzitutto non pensando a quello che avevano fatto in Russo nella loro serie, ma pensando invece ad una versione italiana, che avesse alle spalle tutta la nostra tradizione e che fosse molto pensata sui personaggi. Le scene non sono assolutamente ritoccate digitalmente, sono analogiche, ma proprio perché ho sempre pensato che girare scene così, con delle coreografie molto precise, potesse aiutare il personaggio ad entrare molto di più nella storia. Quindi l’attore diventa la chiave della scena action, non il contrario.
Sono scene action che in qualche maniera sono emotive e tridimensionali.
Volevo sapere come Lorenzo Cervasio e Maurizio Lombardi hanno sviluppato il rapporto tra questo padre e questo figlio e se vista la visione di questa sicurezza nel mondo e visto anche lo stemma della famiglia, se in verità sono due facce della stessa medaglia.
Cervasio: Bellissima domanda, Edo sicuramente è un personaggio che non è tagliato con l’accetta, quindi è aperto a interpretazioni. Dal mio punto di vista, quando ho dovuto interpretarlo ed entrare nella sua mente, nella sua psicologia, mi sono posto queste domande, mi sono posto effettivamente queste circostanze dove lui si trova a scegliere se il mondo effettivamente debba essere governato e come debba essere governato.
C’è una scena in cui lo spiega e dice che secondo lui il mondo ha bisogno di una guida. Chiaramente poi bisogna andare a definire come questa guida intervenga sul mondo ed è su questo che ha un conflitto con Ettore, con suo padre, perché lui tende più ad approfittarne, a tirare a sé, mentre invece Edo ha una visione più democratica. Invece Citadel vorrebbe che il mondo fosse totalmente libero, democratico, senza che nessuno imponga le proprie forze.
Lombardi: Credo che almeno per il mio personaggio sia la chiave di volta, non posso spoilerare né dire niente, ma succede un qualcosa che farà crescere questa sensazione. Io avevo due cose, la prima è la sfortuna di non avere figli e quindi l’ho dovuto ricreare a livello emozionale, la seconda è che me ne sono trovato nella finzione uno già adulto e testone e allora ho dovuto fare quello che poi succederà nella serie sotto il segno della responsabilità, responsabilità verso la mia famiglia everso ciò che ho creato nella serie, non come attore, quindi diciamo che la chiave di volta sono proprio mio figlio e la responsabilità.
Volevo sapere se la scelta stilistica della simmetria nel taglio di capelli e nei vestiti sia strettamente legata al concetto della macchina da presa o anche per rimandare al caos interno del personaggio?
Catinari: Innanzitutto a noi serviva che Matilda indossasse una corazza che fosse assolutamente riconoscibile e che diventasse un segno. In tutta la serie abbiamo un grande rapporto con l’architettura, con il paesaggio, tutte le scelte sono state scelte pensate, oculate per poter dare anche una italianità alla serie, quindi gli oggetti sono oggetti di design, le architetture sono quelle che ci troviamo intorno, ma non guardiamo nemmeno con gli occhi giusti, quindi il razionalismo italiano è alle basi della costruzione di questa visione. Come alle basi della costruzione di questo futuro distopico c’è un po’ il concetto del retro futurismo, cioè quello che il passato immaginava come futuro, quindi questo è un gioco molto bello ed è una sfida quando si racconta una storia di spie. Ci serviva una corazza iconica che la potesse vestire.
Giorgio Gregorini, che ha vinto l’Oscar per i capelli di Suicide Squad, è stato chi ha ideato la sua parrucca e quando l’abbiamo vista per la prima volta con Gina ci siamo stupiti moltissimo.
Gardini: C’era un grande pensiero dietro, perché il personaggio di Diana è una personaggio che è veramente diviso in due e il concetto di Giorgio era che in questo prossimo futuro, dove la libertà non c’è, le acconciature fossero molto più corte, molto più severe e che nel nostro passato c’era una libertà in cui si poteva avere un capello più lungo, più naturale, e quindi il punto di partenza nell’ideazione di Giorgio era capire come voleva costruire il passato e il presente. Poi in particolare questa parrucca rappresenta le due parti di Diana, quella del passato che ha un lato più lungo e ovviamente il lato più severo e più corto, che è il simbolo perfetto per rappresentare il personaggio.
Grande protagonista in questo futuro distopico è quell’immagine del Duomo distrutto e la liberalizzazione delle armi come in America. Voi avete girato in 18 mesi e mi chiedevo che cosa ne pensaste e soprattutto volevo chiedere a Matilda come si è trovata a maneggiare le armi più che ad allenarsi.
Gardini: Io partirei dalla scelta di Milano, una città meno sfruttata come immagine per l’Italia e soprattutto molto lontana da alcuni cliché e che aveva un’architettura che si prestava a questa chiave di ricostruire il nostro prossimo futuro col passato.
Fabbri: Quella del Duomo era l’immagine di partenza per quanto riguarda la scrittura che è sempre il primissimo momento di una serie. Non esiste nulla, solo una pagina bianca e in questo caso più che in altri, l’opportunità che era sia spaventosa che super eccitante di avere campo libero. Dovevi immaginare, dovevi cercare di creare un universo nuovo senza troppi riferimenti e ricordo benissimo che quell’immagine lì, poi, anche per motivi irrazionali forse, almeno per me è diventato una specie di magnete che ha tenuto tutta la creatività intorno a me, perché andava a dirci in modo preoccupante, inquietante, spaventoso, che anche noi siamo esposti. Non viviamo in un posto sicuro, dobbiamo stare attenti a cosa potrebbe succedere qui, nella nostra terra, nel paese in cui viviamo in un futuro molto prossimo, se le cose dovessero andare davvero storte. Quindi questa prima spinta poi ha dato il via a tanti ragionamenti, alla sensibilità che poi ci ha portati a creare l’immaginario di questa serie.
De Angelis: Per rispondere alla domanda sul maneggiare le armi, non è in assoluto piacevole, hanno un peso specifico sia fisico che emotivo molto grande, le armi chiaramente non erano armi vere ma hanno il peso delle armi vere, ma ricordo proprio la sensazione della prima volta in cui ho tenuto in mano una pistola, mi sudavano le mani, mi batteva al cuore fortissimo perché è innaturale tenere in mano un oggetto così piccolo e potenzialmente così letale, è inquietante e spaventoso. Detto questo Matilda si è messa da parte e per interpretare il personaggio io dovevo avere un’estrema confidenza con il mezzo, doveva diventare qualcosa di assolutamente meccanico, doveva essere fluido, maneggevole, quindi verso la fine della serie in realtà scarrellavo come una pazza e tiravo fuori i caricatori mentre camminavo. Emiliano Novelli era fierissimo e quindi è diventata quasi una cosa divertente, ma perché sapevo di non poter fare del male a nessuno e c’è stato un livello altissimo di controllo, di sicurezza da parte degli stunt, sul set, sulla lavorazione, non ci siamo mai sentiti neanche mezza volta in difficoltà. Devo dire che c’è veramente un controllo molto molto meticoloso, però il primo approccio è stato complicato.
Data la massiccia presenza di flashback nella serie come rendere il flashback qualcosa che, a livello scenografico, registico, non blocchi l’azione, non la rallenta, ma siano parte della storia senza doversi fermare?
Catinari: In generale amo i flashback, perché mi riportano a un tipo di cinema che mi spiegava le traiettorie dei personaggi. Quindi credo che se tu il flashback lo usi nel fluido della narrazione e non ti fermi pensando che quello è un flashback, hai vinto. Però deve essere inserito perfettamente nel fluido della narrazione e quindi anche a livello di immagine, se per esempio l’immagine è diversa, però deve essere parte della narrazione che stai lasciando. E credo che ci siamo riusciti.
Fabbri: Anche a livello narrativo, finché racconti una storia lasciando aperte domande, l’attenzione rimane viva, è un po’ quello il punto. Esistono i veri flashback che rischiano di troncare il racconto, di portarti da un’altra parte, ma finché sei fedele al personaggio, stai sul personaggio, sui suoi misteri, piano piano si svelano, rimbalzi in modo interessante tra linea del presente e linea del passato, senza mai trovare una soddisfazione, per quello vai avanti.
Cervasio: Per me è stata una delle cose più difficili. Era una delle sfide più grosse che avevo nell’affrontare Edo, proprio perché dovevo rendere un ragazzino più giovane di 8 anni e non era solo i capelli e gli occhiali. Era proprio un ragazzino che non sapeva come affrontare un padre così ingombrante e poi invece siamo riusciti a rendere un Edo che si avvicina a quello che vuole ed ha una determinazione completamente diversa, un mood, un’energia diverse.
Nigro: Anche io spero che siamo riusciti perché io vivo solo nei flashback, quindi sarebbe un problema. Io vivo nella mente di Matilda, non ho interagito con nessun altro. Però era interessante perché la responsabilità era verso i passato, quegli 8 anni prima in cui si capisce come era Diana e restituire quel mistero e quella solennità in cui si costruisce un rapporto e contemporaneamente si crea una spia super speciale che è Diana, pronta ad infiltrarsi tra le linee di Manticore.
Quale è stato il supporto creativo dei fratelli Russo al progetto?
Gardini: In partenza c’erano due paletti, il primo era rispettare la mitologia di questo mondo di Citadel ed il secondo era di sentirsi liberi di fare un racconto che poteva essere indipendente dalle altre serie e molto radicato nell’Italia e nel racconto che volevamo, il che era una cosa incredibile.
Poi abbiamo sempre condiviso tutto con loro e successivamente, mentre loro stavano girando la prima stagione e noi stavamo sviluppando la nostra prima e l’India ha cominciato, si è creata questa writers room universale. Ogni due settimane per un paio di ore gli head writers, writers e showrunner dei tre show, si scambiavano idee, non necessariamente per creare degli Easter egg, ma uno scambio culturale e creativo sulle nostre varie narrazioni e la cosa bella era che le nostre idee a volte miglioravano. Fabbri: Sempre, il dialogo è sempre un ottimo strumento in questo caso, è un dialogo particolare, un po’ inedito, era una chance incredibile potersi confrontare con le nostre controparti di altri paesi, era sempre interessante vedere cosa ci fosse di comune nella visione, quello era il patrimonio che stava diventando condiviso, ma anche le linee, i modi di pensare diversi, corrispondevano a modi di raccontare diversi e era molto giusto per lo spirito di Citadel, quindi la parte creativa è stata veramente unica.
Che tipo di rapporto andrà a crearsi tra Diana e Gabriele oltre a quello della formazione di lei a diventare una spia?
Nigro: Sottintendi se ci possa essere una relazione? Quello che posso dire senza spoilerare è che è un rapporto sincero in cui Gabriele è determinato nel suo lavoro, vuole veramente arrivare a raggiungere un obiettivo, fare di lei una grande
spia consapevole anche di provocare dei danni fisici e mentali, di farla star male
e glielo dice con sincerità. Quindi il rapporto è vero e lui diventa una figura di
un amico, di un fratello maggiore, perché mi dà fastidio dire paterna, scusate.
Nel genere spy la donna solitamente è la femme fatale, di conseguenza mi chiedo come è stato costruito il rapporto tra Diana e Edo visto che c’è un ribaltamento di questi ruoli e lui è “l’homme fatale“, mentre lei è quella di ghiaccio.
Cervasio: Non l’ho visto come un “homme fatale“, ma l’ho visto più come un ragazzo cresciuto in questa famiglia ingombrante che ha un passato irrisolto con il fratello che è venuto a mancare e che ha questo rapporto con il padre e quindi vive in una sorta di gabbia dorata, dove ha un bellissimo ruolo, ha un lavoro importante. E poi a un certo punto arriva Diana e gli fa questa proposta, lui inizialmente non si fida ma credo che sia molto bello anche nella storia, come è stata scritta, che noi vediamo da subito in realtà che lui accoglie questa proposta e non si capisce bene se l’accoglie perché Diana è Diana o se lo fa perché la proposta gli interessa.
De Angelis: Io penso che la cosa interessante sia che, come in tutti i rapporti umani che sono sempre in evoluzione, il loro è un rapporto inizialmente utilitaristico, nel senso io ho bisogno di te e ti faccio capire che tu hai bisogno di me, ma Diana è una professionista quindi è brava a insinuarsi, perché effettivamente in questo senso la proposta che lei fa è assurda, ma il modo in cui la fa convince Edo a salire sul carro. Poi sicuramente il fatto di passare tanto tempo insieme, di rendersi conto che sono molto più simili di quello che pensavano, fa evolvere il rapporto, che però rimane sempre molto contorto. Poi quando vedrete tutta la serie capirete quanto ancora dovete scoprire del loro rapporto e quanto tutto quello che voi pensate può essere tutto il contrario di tutto, che è anche il bello di questa serie.