Avetrana – qui non è Hollywood, tratta dal libro libro Sarah – La ragazza di Avetrana di Flavia Piccinni e Carmine Gazzanni, è una serie sulla miseria umana, lo si comprende sin dalla prima immagine con quei turisti del macabro che in un pullman, in un’assolata e bollente estate pugliese, si recano a visitare la villetta in cui si è consumato l’omicidio di Sarah Scazzi (Federica Pala) ed il pozzo in cui è stato ritrovato il suo corpo senza vita, con tanto di guida che si augura di poter incontrare i protagonisti di questa triste vicenda che tenne incollato alla televisione tutto il paese.
Quod licet Iovi non licet bovi (Ciò che è lecito a Giove non è lecito al bove)
Il pensiero che sorge spontaneo, osservando le reazioni del pubblico alla sola uscita della locandina della serie e poi, più avanti, guardando i 4 episodi di Avetrana – qui non è Hollywood è che il pubblico italiano sembri avere la tendenza a giudicare certi prodotti con due pesi e due misure.
Che il genere crime sia, ormai da diversi anni, quello che va per la maggiore in televisione è probabilmente noto a tutti ed è stato ulteriormente confermato da illustri esperti dell’industria dell’intrattenimento ospiti, proprio questa settimana, del MIA, il Mercato Internazionale dell’Audiovisivo.
Tuttavia, il pubblico italiano sembra essere stranamente in grado di guardare e giudicare una serie televisiva straniera che racconti fatti di cronaca violenta per quello che è, una trasposizione televisiva e non un’offesa personale, mentre tende curiosamente ad essere negativamente colpito da qualsiasi tentativo di riportare fatti di cronaca avvenuti nel nostro paese, con la convinzione che non se ne senta in qualche modo la necessità.
È successo con Avetrana – qui non è Hollywood, diretta da Pippo Mezzapesa, ed in molte altre occasioni, la prima che ci viene in mente la docuserie Wanna di Netflix, nella quale si raccontavano la carriera televisiva e le truffe di Wanna Marchi e della figlia Stefania Nobile, con la sensazione che quando si tenti di creare un prodotto televisivo che conduca inevitabilmente a fare dell’autocritica, venga a volte bollato come voyeuristico, insensibile o fuori luogo.
Immagini per gentile concessione di Disney+ – Credits Lorenzo Pesce
Avetrana – qui non è Hollywood non è interessata al macabro
Uno degli aspetti che ci ha più favorevolmente colpito di questa serie, che avrebbe potuto indugiare nella violenza molto più di quanto non scelga invece di fare, è che dal punto di vista narrativo non è interessata ad alimentare la morbosa curiosità che questo delitto ha sempre suscitato, ma sceglie piuttosto di contestualizzare il delitto e comprenderlo, non ovviamente giustificarlo, inserendolo nel tessuto connettivo di una realtà come quella della lenta e noiosa vita in una cittadina della provincia tarantina.
Dal punto di vista formale questa decisione conduce però anche ad uno strano cortocircuito, perché rende più immediatamente comprensibile la vicenda a chi ne abbia una più ampia ed approfondita conoscenza, come il pubblico italiano, ma decisamente meno immediata per quello internazionale, a cui comunque si rivolge, che difficilmente avrà dimestichezza con quanto avvenuto alla giovane vittima.
La scelta di comprendere ed analizzare la natura delle persone coinvolte in questa storia, piuttosto che soffermarsi sull’atto omicidiario in sé, è altresì evidente dalla struttura narrativa della serie, divisa in quattro puntate di più di un’ora ciascuna, in cui viene narrato rispettivamente il punto di vista di Sarah, Sabrina (Giulia Perulli), Michele (Paolo De Vita) e Cosima (Vanessa Scalera), che sono peraltro anche i titoli di ciascuno degli episodi che costituiscono Avetrana – qui non è Hollywood, arrivando alla triste conclusione che dal punto di vista umano nessuno si salva, compresa, in alcune superflue e non convincenti circostanze, persino la quattordicenne Sarah.
Non la gelosa e possessiva Sabrina, il pusillanime Michele, la granitica Cosima, ma nemmeno la madre Sarah, fervente testimone di Geova con un pessimo rapporto con la figlia, di cui a tratti sembra quasi venga negato il dolore per la terribile perdita subita, o tantomeno la stampa, quel fastidioso, insistente ed irrispettoso nugolo di giornalisti attratti da questo delitto come falene dalla luce, che hanno ulteriormente contribuito ad inasprire l’atmosfera già molto pesante che si respirava al tempo ad Avetrana, ma nemmeno il pubblico, quelle persone che hanno contribuito a rendere un successo qualsiasi programma che abbia mai trattato l’argomento, per poi prendersela ipocritamente con una serie TV nata in parte anche con l’intento di guardarsi idealmente dentro. Il che, se ce lo concedete, e pur ammettendo che la serie non sia sempre impeccabile, scucita comunque una certa dose di ironia.
Nel complesso, l’intento di Avetrana – qui non è Hollywood, che non mette in discussione gli eventi per come sono andati secondo la vicenda processuale, il che è un altro punto a suo favore rispetto a molte serie crime che si crogiolano nel piacere di insinuare il dubbio, sembra essere quello di voler dimostrare come un simile crimine possa essersi compiuto solo in un contesto di evidente disumanizzazione e considerate come si sono svolti i fatti, almeno secondo la Giustizia italiana, è difficile negare che gli autori della serie (Pippo Mezzapesa, Antonella W. Gaeta e Davide Serino) abbiano del tutto torto, ma si può riconoscere come, in alcune circostanze, abbiano forse calcato esageratamente la mano con alcuni espedienti televisivi che avrebbero forse potuto essere evitati.
Avetrana – Qui non è Hollywood sarà disponibile da venerdì 25 ottobre su Disney+.