Nella giornata di ieri, Melissa Benoist, la protagonista della serie Supergirl di The CW, ha coraggiosamente aperto il suo cuore al mondo per raccontare la sua esperienza di sopravvissuta alla violenza domestica. L’attrice non ha mai fatto il nome del suo abusatore, probabilmente per motivi legali, nome che in rete – per le situazioni e le circostanze descritte – viene già fatto con un certo margine di sicurezza.
Tuttavia, nel rispetto dell’intento della Benoist di rivelare qualcosa di così intimo e difficile a tutto il mondo, perché la sua esperienza possa essere di aiuto ad altri, abbiamo deciso di abbandonare polemiche e gossip, rendendo protagoniste le sue parole in questa trascrizione letterale del suo lungo e drammatico discorso, con la speranza che il suo coraggio sia di esempio alle molte, troppe vittime di violenza domestica, anche nel nostro paese.
“Normalmente non faccio cose del genere, ma ho scritto qualcosa che volevo condividere e che volevo raccontare con le mie parole, senza che venisse interpretato ai fini della pubblicazione, quindi ho pensato… lo leggerò ad alta voce, sono molto nervosa, quindi abbiate pazienza. Sono una sopravvissuta alla violenza domestica o IPV (Intimate Partner Violence), qualcosa di cui non avrei mai pensato sarei potuta essere vittima né di cui avrei potuto parlare pubblicamente nell’etere. Lui era una persona magnanima, da cui era impossibile non sentirsi attratti, sapeva essere affascinante, divertente, manipolatore, subdolo. Era più giovane di me e la sua immaturità era ovvia, ma la cosa non mi interessava, ero da poco tornata single e stavo cercando la mia strada in un periodo di cambiamento nella mia vita in cui ho fatto scelte stupide, ma in mezzo a tutto questo lui è diventato un amico, un amico che mi faceva ridere, sentire meno sola, che mi faceva sentire speciale e meritevole e quando abbiamo cominciato ad uscire assieme siamo andati da zero a cento in un attimo. Non ero una bambola di pezza che si è trovata in una relazione che non voleva davvero, ma non ero nemmeno certa di quello che stavo facendo sin dall’inizio, per quanto strano possa sembrare. E’ ancora difficile per me analizzare cosa pensassi e sentissi allora e che mi ha impedito di mettere un freno a quello che sembrava in treno impazzito e la spiegazione più logica che mi sono data è che, provenendo da una famiglia non violenta, ma divisa, il modo in cui il divorzio dei miei genitori ha influito su di me è stato trasmettendomi il terrore che anche le relazioni sentimentali nella mia vita sarebbero fallite. Non avevo nemmeno capito che potevo dire di no e deludere qualcuno senza che questo costituisse un problema. Non importa che avessi o meno dei dubbi sulla possibilità che lui fosse davvero quello giusto, al tempo, quanto lui mi desiderasse e quanto sembrasse fare tesoro di chi io ero davvero, mi faceva sentire bene. Mi amava, io credevo di amarlo ed avrei fatto di tutto perché il nostro rapporto funzionasse. Gli abusi non sono stati fisici all’inizio, si manifestavano sotto forma di comuni comportamenti sbagliati che scaturivano dalla sua insicurezza e depressione. Mi confidava le tragedie che aveva subito e le ingiustizie che aveva dovuto affrontare ed era tutto così reale che era facile provare compassione per lui, rendendo spaventosamente semplice trovare scuse per l’uomo danneggiato per cui provavo qualcosa, credendolo troppo fragile per controllarsi. Era molto geloso, controllava il mio telefono, si arrabbiava quando parlavo con un altro uomo, dovevo cambiare spesso vestito quando uscivamo insieme perché non voleva che gli altri mi guardassero. Durante un compleanno passato a lavorare sono stata criticata per aver ballato con un collega. Il lavoro era un argomento delicato: non voleva che baciassi o facessi scene in cui flirtavo con altri uomini, cosa che per me era molto difficile da evitare, così ho cominciato a rinunciare ad audizioni, offerte di lavoro, contratti provvisori e amicizie perché non volevo ferirlo. Non percepivo nulla di questo come un abuso, perché mi preoccupavo talmente tanto di come lui si sentisse da non prendere in considerazione che effetto tutto questo avesse su di me. In retrospettiva vedo che ogni allarme era un chiaro segno che sarebbe diventato violento, perché la violenza è spesso preceduta da abusi emotivi, mentali, verbali e psicologici, che sono difficili da identificare. E’ cominciata circa dopo 5 mesi dall’inizio della nostra relazione e la violenza si è intensificata alla stessa velocità della nostra storia, così velocemente che non sapevo come reagire. La prima volta che è successo mi ha tirato un frullato in faccia, mi ha colpito sulla guancia ed il frullato si è sparso su tutto il pavimento e sul divano ed io sono corsa a prendere degli asciugamani per pulirlo, più preoccupata per quello che per il fatto che avessi frullato su tutti i capelli, la faccia, i vestiti e che la guancia mi pulsasse dolorosamente. Ero più preoccupata per i mobili che per il fatto che era appena stato violento con me. Non è facile descrivere tutti gli scontri fisici che si sono succeduti sempre più spesso dopo quella prima volta, è difficile persino articolare le parole, non solo per la rabbia ed il dolore che tornano in superficie, ma perché ho la sensazione che questi ricordi siano avvenuti in un diverso pianeta in cui respiravo un’altra aria ed in cui ero testimone di un macabro segreto che non avrei potuto condividere con nessuno. Doveva rimanere un segreto, per la vergogna, per la paura di nuove aggressioni, per la riluttanza ad ammettere che stesse davvero accadendo. La verità vera è che ho imparato cosa si provasse ad essere bloccata e schiaffeggiata ripetutamente, presa così violentemente a pugni da perdere il fiato, trascinata per i capelli sul pavimento, presa a capocciate, pizzicata con tele violenza da avere la pelle ferita, sbattuta contro un muro con una tale forza da rompere il cartongesso, soffocata. Ho imparato a chiudermi a chiave in varie stanze, ma ho smesso presto, perché quelle porte venivano abbattute. Ho imparato a non dare valore a nessuna delle mie cose, sia che fossero sostituibili sia che non lo fossero, ho imparato a non dare valore a me stessa. Ricordo in maniera ancora più vivida come finissero i nostri scontri, con un momento di realizzazione da parte sua quando si rendeva conto di cosa aveva fatto e con un’onda di rimorso che lo avvolgeva. Ed immagino che fosse in un tentativo del suo subconscio di rimediare a quello che era appena successo che lui mi prendesse in braccio e mi mettesse nella vasca vuota e la riempisse lasciandomi sola mentre lui riprendeva il controllo ed io rimanevo nella vasca mentre l’acqua ricopriva il mio corpo ed i suoi danni. A questo punto potete inserire il tipico discorso di scuse di un violento. Si inchinava vicino alla vasca piangendo lacrime di disprezzo per se stesso. Non mi ha mai fatto sentire come se io meritassi le sue botte, cosa che in un certo senso mi dà conforto e, dentro di me, mi aggrappo ancora alla compassione e l’empatia che sentivo per l’avvilimento che ammetteva di provare per se stesso. Le sue scuse erano sentite e ci aiutavano a farci tornare alla normalità ed a quella che sembrava assomigliare ad una relazione affettuosa, ma dentro di me non ho mai creduto che sarebbe cambiato. Mi sono illusa che avrei potuto aiutarlo, pensavo di amarlo abbastanza da potergli mostrare un modo di vivere in cui non gestire le emozioni con la violenza ed ho quindi volutamente ingannato me stessa nel pensare che il mio perdono sarebbe stato sufficiente a farlo smettere. Qualcuno doveva fargli capire che il suo comportamento non era giusto e chi poteva farlo meglio della persona contro cui si stava accanendo? E così levavo quel tappo dalla vasca da bagno e tutto finiva nello scarico con i suoi atti osceni, la sua umiliazione, il rimpianto, la rabbia e con me stessa, io stessa sparivo ogni volta che mi metteva in quella vasca, la mia forza d’animo, il mio valore che dipendeva da quello che lui mi attribuiva, il mio sangue, la mie copiose lacrime. Scherzando, una volta disse a mia madre che piangevo così tante lacrime che avrei potuto risolvere il problema della sete in un paese del terzo mondo. Trascorsero mesi di questa routine, a volte non mi picchiava per uno o due mesi ed io mi crogiolavo in quella illusoria sensazione di pace, pensando che magari le cose sarebbero state diverse, questa volta. E le cose effettivamente cambiarono, ma non in meglio. Io sono cambiata e non sono orgogliosa di come l’ho fatto, sono diventata una persona che non pensavo si potesse nascondere dentro di me perché ero furiosa per quello che stava succedendo e per il fatto che io lo stessi permettendo per paura del fallimento. Ho sperimentato in prima persona che la violenza chiama violenza, ho cominciato a reagire perché la rabbia è contagiosa, ho sviluppato un’incredibile faccia da poker, ma dentro di me ero la versione peggiore di me stessa che ero mai stata, sono diventata inaffidabile, poco professionale, a volte impossibile da raggiungere. Ci sono stati periodi in cui non mi alzavo dal letto se non per qualche ora al giorno, se mi aveste incontrato in quel periodo, sarei risultata amichevole al punto da essere esagerata e distaccata al punto da apparire fredda. Era come se mi fossi spezzata in due, per mantenere una falsa immagine rispetto alla verità che stavo vivendo, una forma di recitazione come un’altra. La Melissa pubblica era la maschera della gioia e fingeva di avere una vita felice, mentre la Melissa privata abbandonava la finzione e viveva l’incubo, incastrata in una disputa senza fine, battaglie e ferite comprese. Alle persone che mi erano più vicine ho semplicemente mentito, inventavo storie sui miei tagli e le mie ferite per nascondere alla mia famiglia la mia stessa crescente rabbia, per proteggere me stessa da qualsiasi discussione e naturalmente per proteggere lui. Sapevo che il modo in cui mi trattava era sbagliato, ma credevo che le conseguenze che avrebbe dovuto affrontare se avessi esposto il suo comportamento sarebbero state peggiori del soffrire in silenzio. E poi lui mi tirò di nuovo qualcosa in faccia, ma questa volta fu peggio, mi colpì con il suo iphone. L’impatto intaccò il mio iride, rompendomi quasi il bulbo oculare, lacerò la mia pelle e ruppe il mio naso. Il mio occhio si gonfiò tanto da chiudersi, avevo un labbro gonfio, avevo sangue sul viso e ricordo di aver gridato fortissimo. Il giorno dopo dovevo rigirare una scena per un film. Dopo che successe, la stanza divenne immobile, fummo presi dal panico, mi mise nella vasca, ma questa volta non servì, non sarebbe stato facile nasconderlo né risolverlo e qualcosa dentro di me si spezzò. Era troppo, non potevo ignorarlo e lasciarlo scorrere via in quello scarico come le altre volte. Inventammo insieme una debole scusa che ero inciampata e caduta per le scale del nostro portico, sbattendo la faccia contro una pianta in vaso. Chiamammo le nostre madri, i miei manager che chiamarono i produttori ed il regista con cui stavo lavorando. Mi portò in ospedale e quando i medici del Pronto Soccorso gli fecero lasciare la stanza ed arrivarono i poliziotti ad interrogarmi nel mio letto di ospedale, dissi loro la nostra storia, di cui sono certa hanno sentito diverse versioni, e poi abbiamo riso assieme quando lui disse che la mia faccia era carina e sembrava come quella di Guizzo in “Alla ricerca di Nemo” perché il mio occhio era sporgente. Questa è una ferita che non guarirà mai completamente, non vedrò mai più come prima ed emotivamente, dopo quell’evento, avevo chiuso. Sentivo che l’amore, qualsiasi cosa fosse, sicuramente non era quello che stavo vivendo io. Ero stanca di vivere in quel modo, ma avevo la sensazione che fosse troppo tardi per uscirne. Non sarebbe stato facile per me farlo, mi ero isolata talmente tanto che mi ero convinta di non aver nessuno a cui rivolgermi e mi vergognavo. Ma gli abusi non hanno solo un effetto sulle persone che ne sono vittime e senza che ne fossi consapevole, molte persone nella mia vita sospettavano e temevano proprio quello che stava succedendo. Un’amica venne a trovarmi dove lavoravo, il mio abusatore non c’era e quindi lei aveva una rara opportunità di parlarmi senza la sua ingombrante presenza. Mi fece sedere e mi disse che voleva parlarmi di qualcosa di importante ed io capii immediatamente di cosa si trattasse. Mi batteva il cuore, lei era nervosa e tremava e aveva paura che avrebbe rovinato la nostra amicizia, ma mi chiese con coraggio se fossi vittima di abusi domestici. E’ stata la prima volta che ho parlato degli abusi subiti a qualcuno e non posso descrivere il sollievo ed il conforto che ho provato. Lei mi ha abbracciato e mi ha detto: “Adesso sai cosa devi fare, vero?”
Ecco, l’ironia del vivere un calvario come una relazione violenta, mentre ti vengono fatti dei danni terribili ed irreparabili, è che riesci a costruirti una forza impenetrabile senza nemmeno saperlo. Pronunciare finalmente quelle parole che avevo tenuto sopite per così tanto tempo, infiammò quel potere in me. Dovevo uscirne e lo feci tanto rapidamente quanto quella relazione aveva preso possesso della mia vita. Andarsene non è una passeggiata, non è un evento, ma un procedimento. Ho sentito dei complicati sensi di colpa per il fatto che stavo ferendo qualcuno che avevo protetto per così tanto tempo, e sì, anche una certa tristezza perché stavo lasciando qualcosa che mi era così familiare. Ma grazie alle persone con cui mi sono confidata e che mi hanno rafforzavo, ho continuato a ripetermi che non meritavo nulla di tutto ciò. Era la mia realtà e quello che è successo ha causato un movimento tettonico nella mia visione della vita, mi ha insegnato cosa sia e cosa non sia l’amore e quanta forza io abbia. La violenza che ho subito e, sì, anche tollerato, le bugie che ho detto, la protezione accordata al mio abusatore, tutte queste sfaccettature dipingono un ritratto oscuro e sinistro di quel periodo della mia vita, ma ricusare quelle abitudini e rompere quel circolo vizioso è stata la scelta più gratificante e potente che abbia mai preso per me stessa. Sento una forza ed una sicurezza in me che hanno messo profonde radici. Mi ci vorrà tutta la vita per guarire da questa cosa e va bene così, ho scoperto che la guarigione è una costante ed irrequieta manovra al fine di trovare cosa funzioni o cosa attivi i ricordi, ma è possibile. Sfortunatamente l’IPV è cronicamente uno dei crimini meno denunciati nel paese secondo il Dipartimento di Giustizia americano e si stima che 1 donna su 4 negli USA, tra i 18 anni ed oltre, sarà vittima di violenza da parte del proprio partner nella propria vita ed anche se ne sono vittima anche gli uomini, le cifre dimostrano che per la maggior parte, a subire violenze, sono le donne, in un crimine assolutamente trasversale, che non fa distinzioni. Io voglio che questa statistica cambi e spero che raccontare la mia storia impedisca ad altre storie come la mia di accadere. Scelgo di amare, non scelgo di minimizzare la mia vita per paura, scelgo di amare me stessa, di sapere che l’amore non include la violenza e di far sapere alle vittime che c’è un modo per uscirne e che sarete protette. Se stai vivendo quello che ho vissuto io e vedi questo video, magari troverai la forza per rompere quel circolo vizioso o magari potrai cominciare a pensare alla tua libertà, nel qual caso sono qui, sono con te e tu puoi e meriti di vivere una vita senza violenza”.
Qui di seguito il video dell’attrice.